Un signore anziano, intabarrato in un soprabito nero, scende lentamente dalla sua Fiat 128 scura targata Torino. Prende il cappello, posato sul sedile del passeggero. Il cortiletto interno del palazzo di via Perrone è deserto. Incede un po’ curvo, sorretto dal bastone: la fronte corrucciata e le labbra strette sotto i folti baffi bianchi.
I suoi passi risuonano sui sampietrini, lenti in direzione della scala a sinistra, nascosta nella semi oscurità dell’androne.
Infila una mano in tasca in cerca delle chiavi dell’ufficio, eccole.
“Avvocato!” si sente chiamare alle spalle.
Accenna a voltarsi, negli occhi lo stupore di non essersi accorto della presenza del proprietario della voce, e cinque tuoni esplodono nell’aria.
Cinque colpi sparati a distanza di meno d’un metro, alla schiena.
Si accascia a terra, quasi rannicchiato, con il viso sul marmo freddo.
E’ il 28 aprile 1977 e l’uomo è l’avvocato Fulvio Croce, settantacinque anni, presidente del Consiglio dell’Ordine di Torino: cinque giorni dopo avrebbe dovuto assumere in udienza la difesa d’ufficio dei membri del nucleo storico delle Brigate Rosse: Renato Curcio, Alberto Franceschini, Maurizio Ferrari e Prospero Gallinari.
L’assassinio viene rivendicato dai terroristi con una telefonata alla Stampa e all’Ansa.
Il processo per cui l’avvocato Croce ha dato la vita è stato il primo in assoluto a carico delle Brigate Rosse, il cui attacco al ‘cuore dello Stato’
si spinge per la prima volta fin dentro le aule di giustizia.
Il comunicato, letto ad alta voce dall’imputato Maurizio Ferrari durante la prima udienza nel 1976, annuncia che “ […] Gli imputati non hanno niente da cui difendersi. Mentre al contrario gli accusatori hanno da difendere la pratica criminale antiproletaria dell'infame regime che essi rappresentano. Se difensori, dunque, devono esservi, questi servono a voi egregie eccellenze. Per togliere ogni equivoco revochiamo perciò ai nostri avvocati il mandato per la difesa e li invitiamo, nel caso fossero nominati d'ufficio, a rifiutare ogni collaborazione con il potere [...]", rendendo impossibile la prosecuzione del processo attraverso la contestazione della potestas iudicandi, quello che è stato definito "processo di rottura".
I brigatisti revocano il mandato ai difensori di fiducia e rifiutano la nomina di difensori d’ufficio indicati alla Corte, minacciando conseguenze a chiunque accettasse l’incarico. A questo punto, il presidente della Corte d’Assise, constatate le difficoltà di pervenire alla nomina di difensori, incarica della difesa d’ufficio il Presidente Croce; ciò in applicazione dell’articolo 130 del codice di procedura penale dell'epoca ai sensi del quale, nel caso di impossibilità di reperire un difensore d'ufficio, l’incarico debba essere assunto dal Presidente del Consiglio dell'Ordine.
Fulvio Croce, pur consapevole dei gravissimi rischi a cui si espone, accetta l'incarico e sceglie gli altri difensori tra i Consiglieri dell'Ordine.
Sono passati trentacinque anni da quei cinque colpi di proiettile sparati alle spalle, ma l’esempio del coraggio di un uomo che fa della sua professione un baluardo a tutela dello Stato di diritto deve rimanere ben vivo in noi - futuri giudici e avvocati – nella quotidiana lotta affinché la giustizia prevalga sempre su ogni forma di sopraffazione violenta.
Per non dimenticare, Studenti Democratici LUISS invita tutti alla proiezione del documentario “Avvocato!”, prodotto nel trentennale dell’omicidio di Fulvio Croce dall’Ordine degli Avvocati di Torino.
GIULIA MERLO
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