mercoledì 28 marzo 2012

"Avvocato!": la forza dell'esempio di Fulvio Croce.


Un signore anziano, intabarrato in un soprabito nero, scende lentamente dalla sua Fiat 128 scura targata Torino. Prende il cappello, posato sul sedile del passeggero. Il cortiletto interno del palazzo di via Perrone è deserto. Incede un po’ curvo, sorretto dal bastone: la fronte corrucciata e le labbra strette sotto i folti baffi bianchi.
I suoi passi risuonano sui sampietrini, lenti in direzione della scala a sinistra, nascosta nella semi oscurità dell’androne.
Infila una mano in tasca in cerca delle chiavi dell’ufficio, eccole.
“Avvocato!” si sente chiamare alle spalle.
Accenna a voltarsi, negli occhi lo stupore di non essersi accorto della presenza del proprietario della voce, e cinque tuoni esplodono nell’aria.
Cinque colpi sparati a distanza di meno d’un metro, alla schiena.
Si accascia a terra, quasi rannicchiato, con il viso sul marmo freddo.
E’ il 28 aprile 1977 e l’uomo è l’avvocato Fulvio Croce, settantacinque anni, presidente del Consiglio dell’Ordine di Torino: cinque giorni dopo avrebbe dovuto assumere in udienza la difesa d’ufficio dei membri del nucleo storico delle Brigate Rosse: Renato Curcio, Alberto Franceschini, Maurizio Ferrari e Prospero Gallinari.
L’assassinio viene rivendicato dai terroristi con una telefonata alla Stampa e all’Ansa.
Il processo per cui l’avvocato Croce ha dato la vita è stato il primo in assoluto a carico delle Brigate Rosse, il cui attacco al ‘cuore dello Stato’   
si spinge per la prima volta fin dentro le aule di giustizia.

Il comunicato, letto ad alta voce dall’imputato Maurizio Ferrari durante la prima udienza nel 1976, annuncia che “ […] Gli imputati non hanno niente da cui difendersi. Mentre al contrario gli accusatori hanno da difendere la pratica criminale antiproletaria dell'infame regime che essi rappresentano. Se difensori, dunque, devono esservi, questi servono a voi egregie eccellenze. Per togliere ogni equivoco revochiamo perciò ai nostri avvocati il mandato per la difesa e li invitiamo, nel caso fossero nominati d'ufficio, a rifiutare ogni collaborazione con il potere [...]", rendendo impossibile la prosecuzione del processo attraverso la contestazione della potestas iudicandi, quello che è stato definito "processo di rottura".

I brigatisti revocano il mandato ai difensori di fiducia e rifiutano la nomina di difensori d’ufficio indicati alla Corte, minacciando conseguenze a chiunque accettasse l’incarico. A questo punto, il presidente della Corte d’Assise, constatate le difficoltà di pervenire alla nomina di difensori, incarica della difesa d’ufficio il Presidente Croce; ciò in applicazione dell’articolo 130 del codice di procedura penale dell'epoca ai sensi del quale, nel caso di impossibilità di reperire un difensore d'ufficio, l’incarico debba essere assunto dal Presidente del Consiglio dell'Ordine.

Fulvio Croce, pur consapevole dei gravissimi rischi a cui si espone, accetta l'incarico e sceglie gli altri difensori tra i Consiglieri dell'Ordine.
Sono passati trentacinque anni da quei cinque colpi di proiettile sparati alle spalle, ma l’esempio del coraggio di un uomo che fa della sua professione un baluardo a tutela dello Stato di diritto deve rimanere ben vivo in noi - futuri giudici e avvocati – nella quotidiana lotta affinché la giustizia prevalga sempre su ogni forma di sopraffazione violenta.
Per non dimenticare, Studenti Democratici LUISS invita tutti alla proiezione del documentario “Avvocato!”, prodotto nel trentennale dell’omicidio di Fulvio Croce dall’Ordine degli Avvocati di Torino.

GIULIA MERLO

sabato 17 marzo 2012

Caso Ferrandelli, semplice storia di un candidato o ennesima testimonianza del malessere della nostra sinistra?



Rita Borsellino, Antonella Monastra, Davide Faraone e Fabrizio Ferrandelli. Quattro candidati alle primarie palermitane del Pd per scegliere il futuro candidato sindaco del capoluogo regionale. I seggi sono stati aperti la mattina del 4 Marzo, e non molto tempo dopo è stato subito possibile dichiarare il nome del vincitore: Fabrizio Ferrandelli, trentunenne, laureato in lettere moderne, bancario, ex capogruppo in consiglio comunale dell’Idv sostenuto dall’ala del Pd che appoggia il governo di Raffaele Lombardo alla Regione (Beppe Lumia, Antonello Cracolici e Totò Cardinale) ed anche da Rosario Crocetta e Sonia Alfano, europarlamentari, esponenti importanti della lotta antimafia.
La sua però non può essere considerata una semplice vittoria, con la sua elezione il giovanissimo aspirante sindaco è stato in grado di battere (con però solo 151 voti di distacco) non di meno che Rita Borsellino, candidata appoggiata da Sel, Pd, Rifondazione comunista- Fds, socialisti di Nencini e movimenti, e fortemente voluta da Bersani, segretario nazionale del Partito. Ed è proprio la testa di quest’ultimo che viene reclamata in queste ore dall’isola, alla luce degli eventi, e, nonostante i tentativi di minimizzare del segretario, la situazione è grave ed il sentore appare percepito fortemente non solo dagli stessi elettori di sinistra ma anche, e aggiungerei pure stavolta purtroppo, dai sostenitori degli altri partiti.
La scelta di Ferrandelli potenzialmente potrà rivelarsi felice, e non possiamo che augurarcelo, ma allo stesso tempo è inutile negare che questa non possa non essere sentita come un’ennesima avvisaglia del malessere che da sempre attanaglia la sinistra: l’eccessivo divisionismo. Che forse questo male abbia condotto gli elettori al favorire l’alternativa purché questa sia in conflitto con i dettami del vertice nazionale?

Permettetemi di abbandonarmi al racconto di un episodio che mi ha fatto sorridere, amaramente : in questi giorni ho avuto la possibilità di tornare a casa, proprio in Sicilia, e la sera in cui era stata decretata la vittoria del candidato sindaco ho deciso di fare una passeggiata, inutile spiegare che in un paesino come il mio recarsi in piazza equivale a confrontarsi con gli anziani del posto, mi sono avvicinata ad un bar attirata dalle chiacchiere che avevo origliato inerenti proprio l’elezione di Ferrandelli e, in questo modo, ho potuto assistere ad una dichiarazione, che, io definirei saggia, la riporto in dialetto per non privarla dell’ardore (confidando di sembrare comprensibile sull’onda del fenomeno Camilleri) : “Viri la politica è come u teatru: c’è u capucomico, e ci su i comparsi. Ndo Pdl nun ci su storie: u primu atturi è facile accanoscillo, ma na sinistra u probblema è chiò complesso: tutti vonu fari i capucomici, e finiscia ca ci fanu tutti na mala cumpassa”.

Maricia Dazzi


venerdì 16 marzo 2012

Lucio Dalla: siamo i cattivi pensieri e non abbbiamo parole

Lucio Dalla è morto. Dopo De Andrè, Gaber, Rino Gaetano, un altro eroe della musica d’autore lascia la scena, il pubblico, la sua barca, il suo stile da clown sentimentale. Lascia un vuoto. Perché la mattina del 1 marzo 2012, quando, inzuppando i miei biscotti con la margarina nel latte e caffè, ho sentito al tg “Lucio Dalla stroncato da un infarto”, mi si è stretto lo stomaco. Ho chiamato subito Alberto, con cui ho passato l’estate salentina a circondarmi di ragazze cantando “Attenti al lupo” “Caro amico ti scrivo” e “Disperato erotico stomp”, e divertendomi a spacciare per “nostra” quest’ultima (attenti al lupo la conoscono anche le quaglie e i fagiani, non saremmo stati credibili). Perché le canzoni di Dalla erano scritte per fare stare bene. Su una canzone di Lucio ci puoi ballare o partorire pensieri esistenziali. La puoi suonare in spiaggia circondato da amici e passanti o nella solitudine della tua stanza alle 4 della notte. Alberto mi ha risposto con la solita voce allegra da fuori sede bolognese al dams, ma dopo la mia notizia anche il suo tono s’è spento. 
Io di Lucio Dalla non conosco tutti gli album, i singoli e le curiosità artistiche. So che amava non prendersi sul serio, e che aveva una passione segreta per i vecchi ascensori. So che, in Banana Republic, De Gregori era l’artista sobrio, composto e lui il piccolo diavolo scatenato (vi invito a cercare “Lucio Dalla pazzoide”su youtube). 
Conoscevo il suo amore per il mare e per le barche. So che Caruso venne scritta in una stanza d’hotel dove, anni prima, aveva alloggiato proprio il tenore napoletano cui la canzone è dedicata. So che Lucio continuava a dichiararsi astemio, ma che a vedere i suoi video all’osteria da Vito, in compagnia di Guccini e Vecchioni, mi viene difficile credere alle sue parole (almeno negli anni della gioventù bolognese). So che se n’è andato il cantore dei “gatti neri bolognesi”, delle “puttane ottimiste e di sinistra”, della “potenza della lirica, dove ogni dramma è un falso”. In questi giorni si discute tanto della sua eredità (Dalla non aveva parenti prossimi), dell’atteggiamento del clero che ha praticamente celato la sua omosessualità e il suo legame con Marco Alemanno. A me tutto questo non interessa. Qualsiasi polemica mi sembra sterile al cospetto che bagaglio culturale che perdiamo con la morte di Dalla. 
Mi piace pensare che gran parte di Lucio è racchiuso nelle sue canzoni. Che “4 marzo 1943” e “Caruso” altro non sono che quel piccolo uomo fatto note e melodia. 
E chissà se chi ha scritto “Morire non è nello stile di Dalla, è uno schero” non abbia poi ragione.

Vito Pati

martedì 13 marzo 2012

Siria: spring cleaning

​Egitto, Tunisia, Libia... e finalmente la cosidetta "Primavera Araba" ha raggiunto la Siria. Ovviamente, questa e' la storia che seguiamo nella mass media, per non menzionare tutti i massacri commessi (!) dal "dittatore sanguinoso" Bashar al-Assad. Con tutte queste brutte scene in Siria davanti ai nostri occhi, portate alle nostre televisioni "grazie" a canali come Al-Jazeerah, e lo spirito "rivoluzionario" (!) che abbiamo visto negli altri paesi, noi umanitari tendiamo a pensare "ma perché non sosteniamo un intervento radicale a questo andamento in Siria?" non avendo nessun dubbio che questo nuovo thriller e' un po' diverso da quelli che abbiamo visto negli ultimi decenni.

​Scusatemi cari, ma Polyanna e' gia' stata stuprata.

​Ha resistito? Penso di si, ma comunque Uncle Sam l'ha sequestrata.

​Adesso vediamo come:

​Come sappiamo gia', la "favilla" di questi movimenti sociali ha avuto luogo in Egitto, un paese governato da uno stato pro-occidentale, guidato da un leader che veniva "eletto" con il 90% in tutte le elezioni, Husni Mubarak. Nella prima fase, cioe' fino alla caduta (o dimissione) di Mubarak, la ribellione e' stata sostenuta da tutte le classi oppressi del paese insieme con le minoranze come i copti. Dopo la caduta di Mubarak e il trasferimento del potere esecutivo alla Corte Suprema delle Forze Armate, pero', il momentum si e' spostato verso un gruppo politico che aveva giocato un ruolo insignificante nella ribellione, i Fratelli Musulmani. Questo gruppo, composto da islamisti radicali "moderati" e' diventato il portavoce del movimento subito dopo la dimissione di Mubarak e, con l'aiuto di canali "indipendenti" come Al-Jazeerah, e' stato presentato al mondo come "un partito dedicato alla democratizzazione del paese".

​Abbiamo visto come questo gruppo aveva percepito il concetto di "democrazia" dopo la sua vittoria nelle ultime elezioni: la soppressione delle masse. I primi mesi del loro governo hanno testimoniato violenza statale contro gli operai e le minoranze etniche-religiose, fra le quali le piu' importanti sono i copti che hanno provato ad avvisare i cristiani occidentali ma, come sempre, le loro orecchie erano chiuse a tutte le notizie tranne quelle che vedevano su CNN, BBC e Al-Jazeerah.

​Per di piu', questo nuovo governo ha preso il sostegno degli stati occidentali e la Turchia, consolidando il suo potere. L'economia reale egiziana dipendeva dai criteri occidentali anche prima della cosidetta "rivoluzione" (o, con altre parole, la sua economia era gia' "aperta") , quindi non possiamo parlare di un grande cambiamento in quel campo.

​Per quanto riguarda la Tunisia, abbiamo visto vicende molto simili.

​Il presidente in carico prima della sommossa, il pro-occidentale Zine el-Abidine Ben Ali, era uscito vincitore (con almeno l'89% dei voti) da ogni elezione dopo il colpo di stato nel 1987. Dopo il salito della tensione con la auto-immolazione di Mohamed Bouazizi, un cittadino di 26 anni, tutte le classi oppresse della Tunisia hanno deciso di agire contro la dittatura di Ben Ali. Alla fine, Ben Ali si e' dimesso ma le elezioni successive hanno consolidato il potere del movimento islamista, Ennahda, il cui leader Rashid al-Ghannushi era famoso per opporsi al femminismo e al secularismo occidentale. Per questa sua posizione, si e' dimettito prima delle elezioni, lasciando il suo posto al suo "braccio destro", Hamadi Jebali, il primo ministro attuale, che sembra piu' "moderato", ovvero "filo-occidentale" rispetto al suo maestro. A dispetto delle tendenze "liberali" di Jebali, al-Ghannushi e' ancora considerato il "leader ideologico" di Ennahda, un fatto che ci aiuta a spiegare la retorica anti-laica del movimento.

​Se parliamo del campo economico, possiamo dire che il paese non ha visto tanti cambiamenti siccome la sua economia era "aperta" anche prima della "rivoluzione".

​In Libia, invece, la storia era un po' diversa.

​La differenza principale fra la Libia e gli altri paesi influenzati dalla cosidetta "Primavera Araba" era il fatto che la Libia godeva le risorse piu' vaste di petrolio in tutta l'Africa settentrionale e la sua economia non era molto "aperta" al capitale occidentale.

​Nonostante la teoria propagata che prevede "il fallimento delle economie non aperte", il PIL della "Jamahiria Araba Libiana del Grande Popolo Socialista" era il piu' alto in tutto il continente africano. Poi, anche se era ideologicamente instabile, Muammar al-Ghaddafi era considerato un eroe da tanti Libiani, specialmente quelli di origine non-araba, perché durante il suo governo, aveva creato un'economia stabile, opportunita' di lavoro per la maggioranza della popolazione, una costituzione piu' laica rispetto a quella precedente, e aveva consentito la partecipazione alla vita sociale e politica delle genti di origine non-araba.

​Tutti questi fatti rendevano difficile un cambiamento politico radicale in Libia... fino all'insurrezione a Benghazi.

​In ogni paese del mondo ci sono delle eventuali proteste contro i governi ma quelle a Benghazi sono state un po' sanguinose. Come gli avvenimenti in Xinjiang, Cina nel 2009, un gruppo di mercenari sconosciuti che, secondo la mass media occidentale, si era alleato con il governo ha sparato ai dimostranti, un evento che ha spostato il momentum verso l'opposizione che, fra poco, ha dichiarato l'indipendenza nella citta' di Benghazi. Questa dichiarazione e' stata riconosciuta da tanti stati occidentali, e da stati pro-occidentali come la Turchia, il cui primo ministro Recep Tayyip Erdoğan aveva ricevuto un premio di "umanitarismo" dallo stesso al-Ghaddafi un anno prima.

​Ma anche in queste circonstanze la ribellione non aveva abbastanza sostegno popolare, percio' gli stati occidentali e la Turchia si sono sentiti obbligati ad agire contro il "regno repressivo" di al-Ghaddafi, una tendenza che ha avuto come un risultato l'intervento della NATO che ha segnalato l'eventuale vittoria dei ribelli benché ci sia stato una resistenza feroce dalla parte delle forze al-Ghaddafi.

​E' vero che al-Ghaddafi non era mai stato un leader "ideale"; anzi, le sue instabilita' ideologica, politica estera espansionista e tendenza autocratica sono sempre state criticate dagli osservatori neutri ma dobbiamo notare che questi fatti, non sono stati i veri "casus belli" dell'intervento della NATO. Infatti, due paesi che hanno partecipato all'intervento, l'Italia e la Turchia (i cui stati predecessori avevano combattuto per lo stesso paese) avevano relazioni economiche con il regime di al-Ghaddafi fino a quando sono state "ficcate" dalla parte degli stati piu' potenti della NATO.

​E cosa possiamo dire del nuovo governo "democratico" della Libia? Innanzitutto, non e' un governo democratico se non pensate che dichiarare la legge coranica come la fonte principale del diritto dello Stato sia un atto democratico. Per di piu', Human Rights Watch ha testimoniato violenza statale contro le genti di origine non-araba della Libia che avevano sostenuto le forze al-Ghaddafi durante la guerra civile. Eventualmente, queste genti si sono raccolte intorno ad alcune tribu' pro-al-Ghaddafi e hanno dichiarato l'indipendenza in alcune regioni occidentali.

​Come sempre, l'intervento occidentale ha portato sangue, sangue e piu' sangue (per non menzionare instabilita' politica) insieme con un'economia piu' "aperta".

​Prima di venire alla questione siriana, devo indicare il fatto che la "Primavera Araba" ha avuto riflessioni anche in paesi che non abbiamo mai sentito nelle notizie di questo tipo, come il Bahrain e l'Arabia Saudita, ma siccome questi paesi sono monarchie pro-occidentali, canali come CNN e Al-Jazeerah non hanno mai parlato delle condizioni delle genti in questi paesi. Solo BBC ha fatto un news coverage sui dottori arrestati in Bahrain ma non ha "coperto" di piu'.

​Alla fine siamo arrivati in Siria!

​La Siria non e' né un paese ricco di petrolio come la Libia né ha un valore fiscale come l'Egitto. Nonostante la tendenza nazionalista di sinistra rappresentata dal Partito Ba'th, la Siria si era avvicinata all'Europa e alla Turchia con la salita al potere di Bashar al-Assad (figlio di Hafez al-Assad, uno dei fondatori del Partito Ba'th) con alcune riforme "liberali" e aveva cominciato a, con termini piu' usati nella mass media, "adattarsi alle condizioni del mondo post-Sovietico".

​Anche se le prime riforme di Bashar al-Assad non avevano riportato la stabilita' politica e lo sviluppo sociale che la Siria godeva prima del crollo dell'Unione Sovietica, la capacita' commerciale del paese era cresciuta superbamente e, con gli istituti statali vigenti che regolavano il mercato, la Siria era fra i paesi meno sdolcinati nel Medio Oriente durante la prima fase della Grande Recessione.

​E se tutto andava bene, come hanno iniziato le insurrezioni?

​Per percepire le ragioni, dobbiamo osservare la struttura sociale e politica della Siria.

​La Siria e' un paese multi-etnico con tanti gruppi di minoranze che abitano in varie regioni. Gli arabi formano la maggioranza etnica con il 90% della popolazione mentre i turcomani, i curdi e i siriaci sono le minoranze prominenti. Non ci sono stati tanti problemi inter-etnici in Siria negli ultimi decenni (tranne le proteste della gente curda nella provincia di Al-Qamishli subito dopo l'invasione di Iraq), ma, specialmente nelle ultime proteste si parla di un "conflitto religioso".

​I musulmani sunniti formano la maggioranza religiosa in Siria, ma ci sono tanti altri credi. La dottrina alavita dell'Islam shiita e' particolarmente importante perché, anche se i seguaci di questa dottrina sono una minoranza che ha sofferto dall'oppressione sunnita per tanti secoli, hanno trovato un rifugio sicuro in Siria con la salita di Hafez al-Assad, padre di Bashar al-Assad, che apparteneva alla loro comunita'. Siccome era un membro della minoranza anche lui, Hafez al-Assad aveva sempre provato a raggiungere un accordo fra i vari gruppi religiosi, una politica che aveva prevenuto conflitti religiosi definitivamente durante il suo governo. Anche se il suo successore Bashar al-Assad ha scelto di seguire la politica di suo padre nel campo religioso, la differenza religiosa fra il presidente e la maggioranza del popolo e' considerata una delle motivazioni della ribellione attuale.

​Infatti, le prime dimostrazioni sono state organizzate da gruppi sunniti estremisti che, per legittimare le loro attivita', hanno scelto di usare una retorica "democratica" per sottolineare i difetti del regime di al-Assad: "la legge di emergenza" era ancora in vigore e il Partito Ba'th era l'unico partito che era giuridicamente capace di formare governi.

​Vedendo i difetti del proprio regime, il governo al-Assad ha annullato la cosidetta "legge di emergenza" e ha proposto una serie di riforme che prevedevano l'eliminazione della posizione di supremazia del Partito Ba'th. Queste riforme sono state sottoposte a referendum popolare il 26 Febbraio e la maggioranza della popolazione ha votato in favore ma neanche queste nuove legislazioni bastavano per una tregua.

​Nonostante le notizie che vediamo su canali come BBC e Al-Jazeerah, i ribelli in Siria non sono mai stati un gruppo di "dimostranti innocenti". Infatti gia' dall'inizio delle proteste, gli osservatori neutri hanno testimoniato violenza dalla parte dei ribelli contro la minoranza alavita nelle provincie settentrionali ma sfortunatamente i video che mostavano ampiamente le tendenze genocidiali dei ribelli sono stati presentati in occidente come violenza statale contro i ribelli, cancellando le parti in cui i preparatori urlavano "questi cani infedeli di al-Assad meritano solo la morte!".

​Per di piu', una settimana fa, alcuni ribelli stazionati in Turchia hanno postato un video che aveva un messaggio molto chiaro agli alaviti: "se continuate a sostenere al-Assad, vi distruggeremo tutti!".
​Anche se le ultime vicende in Siria hanno creato un feroce conflitto fraterno in Siria, hanno dato luogo anche alle alleanze nuove: gli USA e la Turchia, due stati che hanno dichiarato Al-Qaeda un'organizzazione terroristica, hanna scelto di collaborare con essa per combattere al-Assad! Un interessante girare di eventi, davvero!

​Con tutti questi fatti in mano, non e' possibile dire che lo scopo degli stati occidentali e la Turchia e' quello di instaurare un governo "democratico" in Siria. Come ben sappiamo, la Siria ha una posizione geografica importante e la sua alleanza con l'Iran e la Russia rende la situazione difficile per l'occidente. Un altro dato di fatto e' che l'occidente non ha piu' le risorse per combattere quelli che non lo obbediscono, percio' l'importanza della Turchia nei confronti con la Siria e' prominente, pero' l'intervento russo ha spostato  il momentum verso al-Assad.
​I mesi prossimi saranno decisivi nella risoluzione della questione e noi, i socialisti turchi e siriani continueremo ad opporci contro la guerra e qualunque tipo di intervento militare.

A. K. Kurtul

martedì 29 novembre 2011

BIM BUM CRACK: Europa e movimenti civili al tempo della cris

GIOVEDì 1 DICEMBRE, ORE 11.30 IN AULA 13 (Luiss Guido Carli, via Parenzo 11)

http://www.facebook.com/event.php?eid=253534184702636

Crisi economica: esiste una via d'uscita?


Lo confesso, la prima volta che, nell’ormai lontano 2008, sentii parlare di Fannie Mae e Freddie Mac pensavo si trattassero di cartoni animati. In realtà dal fallimento dei due colossi immobiliari statunitensi è partita probabilmente la tempesta economica del secolo.
Ben presto infatti la “perturbazione” americana ha coinvolto anche l’Europa portando l’intero occidente sull’orlo del baratro, con il rischio di default per diversi stati e mettendo a repentaglio l’esistenza stessa dell’euro.
Spesso si parla di questa crisi come qualcosa di indefinito e imprevedibile, le cui cause sono oscure e le conseguenze un destino ineluttabile, come a dire,parafrasando Clinton, “it’s the economy stupid”.
In realtà l’attuale crisi affonda le proprie radici e ragioni nella cultura economica dominante degli ultimi 30 anni in cui le dottrine neo liberiste si sono affermate nell’ostilità alla fissazione di qualsiasi regola nei confronti dei mercati, e  delle attività finanziarie in genere,  nel diffuso convincimento di una onnipotente mano invisibile del mercato, nella fiducia cieca in meccanismi riequilibratori automatici.
Politicamente tutto ciò si è tradotto,a partire da Regan e Tatcher in poi,su entrambe le sponde dell’Atlantico,in politiche di deregolamentazione finanziaria e smantellamento progressivo dello stato sociale,nel convincimento che qualsiasi intervento,a maggior ragione se dello stato,costituisse un insopportabile freno per lo sviluppo economico.
Le conseguenze disastrose di queste politiche sono oggi sotto gli occhi di tutti.
L’ aver favorito la fuga del capitale dalla produzione ha ad esempio fatto si che l’import export di beni e servizi nel mondo è stimato intorno ai 15000miliardi di dollari l’ anno, il mercato delle valute ha superato i 4000 miliardi al giorno, come a dire che circolano più soldi in quattro giorni sui mercati che in un anno nell’economia reale.
In Europa la stessa crescita di Spagna e Irlanda fondata sul mercato immobiliare piuttosto che su regimi fiscali di favore per le multinazionali si è rivelata fragile e inconsistente perché non basata su solidi fattori produttivi ma su speculazioni finanziarie.
Tutto ciò ha generato conseguenze durissime per le economie e le società occidentali,ovunque v’è stagnazione,la disoccupazione che galoppa,le imprese chiudono per non riuscire ad accedere al credito necessario, mentre le stesse banche magari elargiscono bonus esorbitanti ai propri manager.
La strada per uscire da questa situazione non può essere segnata dalle politiche perseguite negli ultimi trent’ anni e di quelle egoisticamente imposte dalla Germania ai partners europei in difficoltà.
Privilegiare in questo momento politiche di restrizione dei bilanci pubblici, di contenimento dell’ inflazione o di riduzione del debito pubblico vuol dire soffocare le possibilità di ripresa. A cosa servirebbe avere un rapporto deficit/PIL al 3%  con una disoccupazione dilagante?
Sarebbe invece necessario perseguire, in un quadro di politiche fiscali e monetarie coordinate a livello europeo,obbiettivi volti alla crescita,alla piena occupazione, all’equilibrio commerciale fra gli stati membri ad una maggiore equità distributiva nei paesi e fra i paesi,come sottolineano molti economisti.
E’ necessario a questo punto abbandonare i conservatorismi nazionalistici  che, a cominciare dal direttorio franco tedesco, hanno impedito risposte comunitarie rapide ed efficaci alla crisi.
Una radicale riforma in senso democratico delle istituzioni è l’ obbiettivo che devono porsi le forze progressiste europee.
Il compimento dell’ unità politica, dopo quella economica, è la stella da seguire per uscire dalla tempesta.

lunedì 21 novembre 2011

Vedi Cara, è difficile capire se non hai capito già.


E insomma, al netto della retorica dell'a-ognuno- quel-che-si-merita, possiamo dire che all'oggi la nostra generazione ha le canzonette peggiori. Non che ci si voglia sempre lamentare, per carità, ma avere come canzone di formazione 'mi fido di te' di Jovanotti son cose che segnano una storia politica. Soprattutto se il ritornello fa 'cosa sei disposto a perdere?'.
Certo, in questa sfida al giovanilismo più suicida anche Bersani ha sfoderato l'artiglieria, andando a ripescare il sempreverde Vasco di 'Un senso', e anche in questo caso è tutto uno sventolare di accendini canticchiando 'anche se questa storia, un senso non ce l'ha'.
Cose che quasi (ma anche no) fanno invidiare quell'accattivante motivetto che è 'Meno male che Silvio c'è': un po' ripetitivo forse, ma senza il rischio di vaticini nefasti nascosti tra le strofe.
Prima regola delle canzonette: non importa quanto il titolo possa essere azzeccato per la campagna elettorale e importa ancora meno che il fonico sfumi guarda caso proprio su quella rima portajella, se fai il giovane dentro che conosce i gusti dei giovani fuori devi sapere che sulla Smemoranda i testi delle canzoni si copiano per intero, terze strofe incluse, ovviamente dopo averle mandate a memoria.
E pensare che noi di sinistra ci vantiamo da sempre di avere i cantautori migliori, di quelli che si inventavano versi tipo 'una locomotiva/come una cosa viva/lanciata a bomba contro l'ingiustizia' e a nessuno importava che quella santa canzonetta avesse più strofe de 'il 5 maggio" di Manzoni: tutti dico tutti la sapevano a memoria, con buona pace della professoressa di italiano lasciata appesa a un 'dall'Alpi alle Piramidi/dal Manzanarre al Reno', e poi?.
Certo, in fondo un po’ son da capire i politici di sinistra, mica di mestiere tengono rubriche di musica, e poi ci hanno messo quattro-dico-quattro anni a decidersi che dal palco si saluta in versione ufficiale con 'cari democratici', tralasciando quello spinoso 'amici-e-compagni', non si può mica poi sparare in cassa 'Bella Ciao'.
Non che non la si canti più, intendiamoci, quella rimane l'evergreen più evergreen di sempre e non mandarla almeno una volta è sinonimo di sicuro flop da immaginario collettivo. Però adesso serve a scaldare gli animi prima dell'inizio, e per fortuna in questo caso non serve sfumare nessuna strofa.
Certo, c'è da dire che non è facile scegliere la canzone corretta da fine manifestazione, quella che chi è durato ore sotto il palco si fermi per altri tre minuti emmezzo a cantare e che faccia sentir parte di quel qualcosa che.
E qui arriviamo alla seconda regola della perfetta canzone scaldacuore: deve essere cantabile. Di quelle con la strofa che sale e sale fino al ritornello e lì senti la piazza che parte.
Provateci un po' con 'mi fido di te' o 'un senso'. Non è puntiglio, ma Vasco e Jovanotti sono gli unici due cantanti italiani che non cantano. Ora però ci si sta riprovando, adesso a fine manifestazione parte Neffa con 'Cambierà'. E il primo che si lagna che loro-Guccini-noi-Neffa paga pegno e la recita a memoria dal palco, questa ‘Cambierà’, strofe comprese.