martedì 29 novembre 2011

Crisi economica: esiste una via d'uscita?


Lo confesso, la prima volta che, nell’ormai lontano 2008, sentii parlare di Fannie Mae e Freddie Mac pensavo si trattassero di cartoni animati. In realtà dal fallimento dei due colossi immobiliari statunitensi è partita probabilmente la tempesta economica del secolo.
Ben presto infatti la “perturbazione” americana ha coinvolto anche l’Europa portando l’intero occidente sull’orlo del baratro, con il rischio di default per diversi stati e mettendo a repentaglio l’esistenza stessa dell’euro.
Spesso si parla di questa crisi come qualcosa di indefinito e imprevedibile, le cui cause sono oscure e le conseguenze un destino ineluttabile, come a dire,parafrasando Clinton, “it’s the economy stupid”.
In realtà l’attuale crisi affonda le proprie radici e ragioni nella cultura economica dominante degli ultimi 30 anni in cui le dottrine neo liberiste si sono affermate nell’ostilità alla fissazione di qualsiasi regola nei confronti dei mercati, e  delle attività finanziarie in genere,  nel diffuso convincimento di una onnipotente mano invisibile del mercato, nella fiducia cieca in meccanismi riequilibratori automatici.
Politicamente tutto ciò si è tradotto,a partire da Regan e Tatcher in poi,su entrambe le sponde dell’Atlantico,in politiche di deregolamentazione finanziaria e smantellamento progressivo dello stato sociale,nel convincimento che qualsiasi intervento,a maggior ragione se dello stato,costituisse un insopportabile freno per lo sviluppo economico.
Le conseguenze disastrose di queste politiche sono oggi sotto gli occhi di tutti.
L’ aver favorito la fuga del capitale dalla produzione ha ad esempio fatto si che l’import export di beni e servizi nel mondo è stimato intorno ai 15000miliardi di dollari l’ anno, il mercato delle valute ha superato i 4000 miliardi al giorno, come a dire che circolano più soldi in quattro giorni sui mercati che in un anno nell’economia reale.
In Europa la stessa crescita di Spagna e Irlanda fondata sul mercato immobiliare piuttosto che su regimi fiscali di favore per le multinazionali si è rivelata fragile e inconsistente perché non basata su solidi fattori produttivi ma su speculazioni finanziarie.
Tutto ciò ha generato conseguenze durissime per le economie e le società occidentali,ovunque v’è stagnazione,la disoccupazione che galoppa,le imprese chiudono per non riuscire ad accedere al credito necessario, mentre le stesse banche magari elargiscono bonus esorbitanti ai propri manager.
La strada per uscire da questa situazione non può essere segnata dalle politiche perseguite negli ultimi trent’ anni e di quelle egoisticamente imposte dalla Germania ai partners europei in difficoltà.
Privilegiare in questo momento politiche di restrizione dei bilanci pubblici, di contenimento dell’ inflazione o di riduzione del debito pubblico vuol dire soffocare le possibilità di ripresa. A cosa servirebbe avere un rapporto deficit/PIL al 3%  con una disoccupazione dilagante?
Sarebbe invece necessario perseguire, in un quadro di politiche fiscali e monetarie coordinate a livello europeo,obbiettivi volti alla crescita,alla piena occupazione, all’equilibrio commerciale fra gli stati membri ad una maggiore equità distributiva nei paesi e fra i paesi,come sottolineano molti economisti.
E’ necessario a questo punto abbandonare i conservatorismi nazionalistici  che, a cominciare dal direttorio franco tedesco, hanno impedito risposte comunitarie rapide ed efficaci alla crisi.
Una radicale riforma in senso democratico delle istituzioni è l’ obbiettivo che devono porsi le forze progressiste europee.
Il compimento dell’ unità politica, dopo quella economica, è la stella da seguire per uscire dalla tempesta.

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