venerdì 18 novembre 2011

Lampedusa, le vent les portera


Falai, ragazzo dagli occhi tristi, è una delle prime persone che ho conosciuto alla Base Loran di Lampedusa, centro di accoglienza per i minori non accompagnati. Era più silenzioso degli altri, non partecipava ai giochi per non tradire le regole del Ramadan in corso, ma non si allontanava e restava a guardarci affacciato dalla finestra che dà sul cortile. Mi piaceva parlare in francese con lui, compensavo i suoi silenzi con la mia naturale loquacità… finché non mi interruppe per dirmi: “Christine, c’est seulement de ma liberté que j’ai besoin”…
Falai ha 17 anni, è nato in Guinea Bissau, uno dei Paesi più poveri della Terra, considerato dall'ONU Quarto Mondo. Parla due lingue: il kriol, un creolo portoghese, e un francese impeccabile. E’ coraggioso, ha una sensibilità spiccata, maturità e profondità di pensiero. E’ intelligente, partecipa alle lezioni di italiano con concentrazione e avidità di sapere. E’ soltanto della sua libertà che ha bisogno: la libertà di uscire da quella prigione, la libertà di sognare la sua vita.
Quando arrivo a Lampedusa, a metà agosto, sono circa 220 i bambini e gli adolescenti rinchiusi da settimane nelle due strutture di detenzione: alcuni nel "Centro di primo soccorso e accoglienza" di Contrada Imbriacola, altri nella base in disuso dell'Aeronautica militare, a poche decine di metri dai radar di difesa antimissile e dai campi elettromagnetici e a chilometri di distanza dalle spiagge amene, con le acque diafane e i fondali incontaminati...
Sono originari della Nigeria, del Gambia, del Mali, della Costa D’Avorio, del Niger. Sono partiti senza i loro genitori. Da giorni e giorni non possono uscire dal recinto di filo spinato e lamiere, arroventato dal sole. Lì dentro, un caldo infernale, il ronzio degli insetti, le mura inumidite, spazi vasti e nudi, poi corridoi angusti che conducono a stanze soffocanti.
La desolazione del luogo contrasta con la vitalità dei ragazzi: hanno forza ed energie, ma le giornate sono interminabili… Beauty fa le treccine alle sue amiche, mentre i ragazzi le ammirano e ascoltano musica da una radiolina; altri sono nella sala mensa (spoglia di tavoli e sedie) che guardano "Forum" proiettato su un telo bianco. Altri non li ho conosciuti, li ho solo visti affollarsi per affacciarsi dalle finestre dei piani superiori…
Giochiamo insieme, cantiamo, balliamo (adorano l’hip pop!), teniamo lezioni di italiano, raccogliamo i loro racconti… Sono frammenti preziosi di storie di disperazione e di coraggio, di tragedie e di conquiste, di speranza, di sogni… Sono le storie che studieranno i miei figli, quando nei testi di scuola si leggerà che agli inizi del nuovo secolo centinaia di uomini morirono nei nostri mari per raggiungere la terraferma, che migliaia furono privati della libertà e della dignità, mentre un angolo di paradiso nel cuore del Mediterraneo diventava l’isola della vergogna…
Per gli uccelli l’isola è un punto di appoggio, dove fermarsi e riposare, prima di proseguire oltre. Tra l’immagine di Lampedusa come recinto chiuso, luogo di reclusione e privazione, e l’immagine degli uccelli di un’isola come spalla su cui poggiare il volo… preferisco quella degli uccelli!
E allora va’ Falai, ragazzo dagli occhi buoni, esci da quella prigione! Che ti sia dolce anche la pioggia nelle scarpe… Spero di incontrarti, ancora…

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